domenica 22 novembre 2009

Il quartiere preferito di Ada Merini, Bruno Brancher et gli altri


La Milano dei Navigli é il quartiere magico conosciuto bene solamente dai veri milanesi.
Il quartiere privilegiato dai molti artisti é restato bucolico, semplice, con delle osterie rustiche.

Fino ad ora la Ripa non è cambiata, ci sono sempre quelle case con la ringhiera e il gabinetto in comune. Provate ad andare in via Pestalozzi al numero 2, e di colpo vi sembrerà di essere capitati in un nuovo mondo.
Bruno Brancher è sempre rimasto attaccato al naviglio. Qui c’è cresciuto negli anni della guerra, qui ha imparato a rubare e ad apprezzare le cose belle della vita. Qui, di sicuro, ha imparato a scrivere. Quale sia la magia di questi canali è difficile capirlo, se esiste una calamita per artisti d’ogni razza, questa è proprio l’acqua, né chiara né dolce, del naviglio.

Leonardo, che progettò il sistema di chiuse per ovviare al problema del dislivello dei terreni e per rendere così possibile la navigazione, non perse l’occasione per farne alcuni schizzi, ora conservati al Museo dei Navigli.
I suoi sono certamente i primi quadri di una lunga, lunghissima serie.
Le ville che costeggiano il corso del naviglio grande, in particolar modo tra Abbiategrasso e Turbigo, videro all’opera architetti del calibro del Piermarini e della sua scuola. Ma senza andare così indietro nel tempo, e fermandosi ai nostri giorni, nelle strette vie che caratterizzano la cerchia, abitano molti grandi artisti.

Alda Merini, più volte candidata al Nobel per la letteratura, e che viveva da sempre in Ripa Ticinese, i navigli li odia. Odia il caos, la sporcizia, persino la gente. Eppure non li abbandona un istante. Riceveva
I nel suo appartamento ricoperto di mozziconi di sigarette e cartacce e attacca alcune litanie circa l’arroganza del naviglio, prostituta di basso calibro.

Anche Andrea de Carlo ha qui il suo studio. Anche lui si lamenta del caos notturno, del via vai di gente nei locali, ma i libri li scrive qui.

Se si è fortunati e si ha tempo per bighellonare può capitare di imbattersi nell’imprevedibile Guido Ceronetti, che a settant’anni suonati ha deciso di fare il teatro ambulante delle marionette.

Di pittori non c’è nemmeno bisogno di parlarne. Si fanno la guerra l’un l’altro per avere più visibilità. Tutti si definiscono pittori dei navigli, e i loro quadri sono centinaia di case a ringhiera, balconcini in fiore, lucernari e insegne.

Ma se c’è una cosa che li accomuna tutti sono le osterie. Siedono ai tavoli, mangiano salame e bevono vino.
Le prime osterie qui sono nate grazie agli artisti e agli operai che di giorno lavoravano alacremente, chi dipingeva e chi batteva il martello, poi la sera facevano baccano assieme.
Così la tradizione è continuata nel tempo, ma adesso è più difficile trovarne di vere. Alcune sono cresciute, servono ottimo cibo e cercano di mantenere un poco le tradizioni, scongiurando di non cadere nel patetico.
È il caso dell’osteria Cuncheta, dove assieme alla tipica cotoletta col manico (l’osso) si possono ascoltare poeti e artisti di strada come Pino Visaggi, il Pavarotti dei Navigli. Altre invece hanno preferito puntare sulla tradizione in cucina, come la Trattoria della Pesa, ormai tra le pochissime a proporre cucina milanese doc.
Fuori porta resistono le osterie all’antica, che si trovano proprio sul Naviglio grande.
Una di queste è maturata così tanto da essere annoverata tra le migliori cucine d’Europa. È l’Antica Osteria del Ponte, a Cassinetta di Lugagnano.
Una delle molte magie del naviglio.

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